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Il dibattito politico, anche cittadino, si è animato intorno al disegno di legge Zan, approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati il 4 novembre 2020 ed ora all’esame del Senato. Un dibattito dai toni a nostro avviso eccessivamente accesi ed, in alcuni casi, lontani dal merito della questione. Proprio per questo riteniamo utile partire da un’analisi del contenuto del ddl approvato alla Camera: il ddl modifica, in particolare, due articoli del codice penale, l’articolo 604 bis e l’articolo 604 ter. L’articolo 604 bis, nella versione attualmente in vigore, punisce (comma 1, lettera a) “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ”, ovvero “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi ”, e (comma 1, lettera b) “chi istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi ” e vieta (comma 2) “ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi ”. L’articolo 604 ter prevede una specifica aggravante di reato “per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso ”. La ratio della norma in vigore è quella di: a) prevedere una tutela rafforzata per le vittime di reati commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso e b) porre un limite alla libertà di espressione, sancita dall’articolo 21 della Costituzione, per evitare che alcuni soggetti propagandino idee fondate sull’odio razziale o etnico e/o commettano o istighino a commettere atti di discriminazione o atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Il legislatore ha voluto, in sostanza, fornire una speciale tutela ad alcune “minoranze”, arrivando anche a limitare un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di libera espressione. E lo ha fatto perché, evidentemente, il concetto di libertà non può mai essere assolutizzato; siamo una società di persone, in relazione gli uni con gli altri, non una somma di individui: l’ampiezza del perimetro della libertà individuale è da valutare in relazione al perimetro della libertà altrui. Il ddl Zan interviene, quindi, su un impianto normativo già esistente, ampliando le fattispecie già oggi oggetto di specifica tutela giuridica ad altre ulteriori, ovvero alle fattispecie degli atti di discriminazione e/o violenza “ fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”. La prima domanda da porsi, quindi, è: assistiamo nel nostro Paese ad atti di discriminazione o violenza fondati sul sesso, sull’orientamento sessuale o sulla condizione di disabilità delle vittime, in ragione delle quali è opportuno prevedere una specifica tutela giuridica delle vittime stesse? Le cronache si incaricano di rispondere, purtroppo, affermativamente: sono frequenti gli episodi di discriminazione e violenza fondati non su ciò che le vittime compiono, ma su ciò che le vittime sono; proprio l’altro ieri il Presidente Mattarella, in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, ha ricordato che “non sono pochi gli episodi di violenza, morale e fisica che, colpendo le vittime, oltraggiano l’intera società ” e che “le attitudini personali e l’orientamento sessuale non possono costituire motivo per aggredire, schernire, negare il rispetto dovuto alla dignità umana, perché laddove ciò accade vengono minacciati i valori morali su cui si fonda la stessa convivenza democratica. ” Parole nelle quali ci riconosciamo appieno e, crediamo, si debbano riconoscere tutti. La seconda domanda da porsi, rispetto al dibattito in corso sul disegno di legge Zan, è: il testo del disegno di legge raggiunge l’obiettivo di tutelare dalla discriminazione e dalla violenza alcune “minoranze” senza conculcare il diritto, costituzionalmente garantito, alla libertà di opinione e di espressione? La preoccupazione di una eccessiva limitazione della libertà di espressione va naturalmente affrontata con attenzione, dato che la libertà di opinione ed espressione è un bene garantito dalla Costituzione. Il disegno di legge Zan prevede all’articolo 4 che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti ”. Alcuni giuristi ritengono tale formulazione sufficientemente chiara, altri, e noi con loro, preferirebbero un testo più esplicito nel definire con precisione gli ambiti in cui la libertà di espressione sconfina nella discriminazione; sul punto non servono contrapposizioni preconcette, ma un confronto serio e rigoroso che auspichiamo possa svolgersi in occasione del dibattito parlamentare al Senato. Infine, ma non ultima per importanza, l’ultima questione da porsi riguarda l’articolo 1, che contiene le definizioni dei concetti di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Nei testi di legge le definizioni sono di solito finalizzate a chiarire l’articolato normativo limitando gli spazi di soggettiva interpretazione. Molti, pur esprimendo la ferma convinzione della necessità di un provvedimento di legge che contrasti l’omotransfobia, evidenziano come, nel caso del ddl Zan, le definizioni in realtà non solo non chiariscano, ma, al contrario, favoriscano una indeterminatezza interpretativa che male si concilia con l’esigenza di certezza del perimetro di applicazione che una norma penale deve avere. Attendiamo, quindi, serenamente che i senatori discutano, dopo mesi di insensato ostruzionismo, il disegno di legge, con l’obiettivo di approvare una norma ispirata ai principi di “solidarietà, rispetto ed inclusione ”, evocati l’altro ieri dal Presidente Mattarella e ricercando, nel confronto parlamentare, un consenso il più ampio possibile, perché il contrasto alle discriminazioni non può che essere un patrimonio condiviso, in Parlamento e nella società. Contrasto contro ogni forma di discriminazione che rappresenta il principio guida della scelta condivisa e positiva operata dall’Amministrazione di Saronno di aderire alla rete RE.A.D.Y., quale primo passo di un percorso di iniziative finalizzate alla promozione nella nostra città di una cultura del rispetto e dell’inclusione. Saronno Civica con Airoldi Sindaco
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